In un articolo originariamente pubblicato su Procurement Leaders, i due principal di Efficio Simon Whatson e Peter Wetherill offrono la propria opinione sulla digitalizzazione aziendale.

L’importanza dei dati nel processo di digitalizzazione del procurement è ben documentata. Metà del campione di CPO intervistato da Deloitte nel 2018, ad esempio, sostiene di sfruttare in modo attivo le soluzioni di analytics più avanzate e intelligenti per ottimizzare i costi. Secondo un numero simile di intervistati i dati aiutano a migliorare le efficienze nei processi.

All’interno della funzione, le soluzioni di analytics sono sempre più utilizzate a livello di rendicontazione sulla gestione in quanto permettono di prevedere meglio la domanda e gestire la spesa in tempo reale.

Sebbene i potenziali benefici siano lampanti, esistono ancora problemi e limiti relativi alla digitalizzazione dei dati, in particolare quelli storici, che potrebbero fornire ai CPO una consapevolezza ancora maggiore.

Tali problematiche includono l’individuazione dei dati, la loro strutturazione in un formato che ne consenta la lettura e l’analisi e la scelta di una tecnologia idonea a elaborarli ed estrarne le conclusioni corrette.

Secondo Marcell Vollmer, Chief Digital Officer di SAP Ariba, i CPO sono disposti ad accedere e trarre spunto da dati storici non strutturati conservati in fogli di calcolo, documenti cartacei e messaggi e-mail. Tuttavia, aggiunge, prima di tutto devono pensare a digitalizzare i processi. Solo quando tali processi sono operativi, suggerisce Vollmer, il personale sarà in grado di salvare e analizzare i dati e, finalmente, sfruttarne il pieno potenziale.

Il problema, ribadisce, è che il processo di digitalizzazione è complesso e richiede estrema attenzione.

“Il procurement deve imparare ad essere semplice come Apple e veloce come Google. La user experience è fondamentale ed è difficilissimo spiegare ai millennial perché è molto più difficile ordinare qualcosa al lavoro che non da casa”, aggiunge Vollmer.

“Quello che ci si aspetta da questa funzione è relativamente semplice: aumentare valore, ridurre i costi e migliorare la soddisfazione di clienti e fornitori”.

Le aziende sono in grado di farlo adottando tecnologie come l’intelligenza artificiale e il machine learning.

Constantine Limberakis, direttore del marketing di prodotto di SpendHQ, società specializzata nell’analisi della spesa, concorda sul fatto che i CPO debbano fare proprie le tecnologie; tuttavia ritiene che la cosa più importante sia trovare i dati e poi lavorare su di essi applicando la tecnologia.

“Esistono masse di dati all’interno delle aziende, con informazioni immagazzinate in diversi sistemi gestionali, su documenti cartacei e carte d’acquisto”, spiega Limberakis. “É necessario raccogliere e aggregare questi dati ma per prima cosa bisogna conoscere bene la dimensione di questo lavoro”.

Il consiglio che dà a Procurement Leaders è che i CPO devono prima di tutto creare una mappa delle fonti di informazioni attualmente esistenti.

“[Bisogna sapere] quante fonti di dati esistono e dove trovano origine questi dati. Bisogna anche sapere quanti fornitori ha l’azienda e quali sono i suoi processi.

“Ci vuole una certa dose di disciplina per passare in rassegna il back-end, i master data e catalogare le informazioni cartacee. L’intelligenza artificiale e la machine learning possono contribuire a migliorare questo processo e capire più rapidamente cosa fare con i dati”.

Limberakis precisa tuttavia che digitalizzare il 100% dei dati storici di un’azienda è “probabilmente impossibile”, vista la mole coinvolta e la mancanza di competenze digitali in seno alla funzione del procurement.

“È necessario integrare l’organico con esperti di dati e data scientist per gestire la raccolta dei dati e il lavoro di intelligence”, conclude.

Il talento digitale

Clive Rees, VP e CPO internazionale di Fujitsu, riconosce questa carenza di competenze. E aggiunge, “Eravamo soliti perderci in tutti quei dati, quindi abbiamo chiesto ai membri più giovani del team di dirci cosa ne pensavano”. “I giovani di oggi sono cresciuti in un’era diversa e ci possono dare un aiuto pratico nel capire come ottenere dati e intelligence di mercato dai fornitori e dai venditori in modo più rapido e agile”.

La funzione in mano a Rees sta ancora muovendo i primi passi nello sviluppo della propria strategia digitale sui dati. “Abbiamo preso in considerazione l’automazione robotica dei processi per capire come sfruttarla a nostro vantaggio ma il nostro percorso digitale è ancora lungo. Digitalizzare i dati storici richiederà ancora un po’ di tempo”.

Nella challenger guide del 2019 di Procurement Leaders, i CPO hanno identificato gli analisti dei dati e i data scientist come i principali profili da ricercare nel 2019, tuttavia le loro competenze non sono ancora a servizio del procurement.

Tra gli ambiti in cui i data scientist possono fornire il massimo sostegno ci sono la gestione e il trasferimento dei dati, in cui il rischio di perdita è massimo; questo specifico profilo professionale è inoltre in grado di fornire una preziosa visibilità sulle potenziali minacce alla sicurezza e un sostegno a livello di conformità a specifiche norme, quali ad esempio il Regolamento generale sulla protezione dei dati dell’Unione europea. Un tale lavoro richiede molto tempo e può facilmente distrarre un buyer o un category manager dalle proprie mansioni.

Oltre a garantire le giuste competenze all’interno del team, Limberakis di SpendHQ crede anche che sia essenziale assicurare il coinvolgimento dell’intera azienda per migliorare le probabilità di successo del procurement.

“Tutte le business unit e l’IT devono collaborare [in progetti di questo tipo]”, ribadisce. “Il processo deve coinvolgere tutti gli stakeholder, altrimenti il rischio di non innovare diventa elevato. Qualsiasi progetto di digitalizzazione deve gravitare intorno all’apprendimento incrementale. Magari al primo tentativo non si ha successo ma non per questo bisogna smettere di provarci. Questa filosofia deve permeare l’intero tessuto aziendale”.

Per Vollmer di SAP Ariba, questo include la creazione, da parte dei CPO, di una proposta in termini di risultati attesi. “È necessario fornire un obiettivo e condividere il bisogno di cambiamento con i propri team per allineare gli sforzi. Questo include le diverse linee di business, dai dirigenti ai fornitori”.

Inoltre, i responsabili del procurement devono promuovere una cultura del cambiamento che aiuti tutti a “far proprie queste rivoluzionarie tecnologie”, aggiunge.

Come capire qual è il primo passo

Sebbene alcuni pensano che basti scovare la giusta tecnologia o trovare il luogo in cui si annidano i dati, secondo Limberakis i responsabili stessi del procurement possono diventare un elemento di disturbo. Prima di tutto devono sapere qual è il problema da risolvere.

“Un CPO deve chiedersi prima di tutto qual è il problema che deve risolvere e poi guardare al quadro più ampio. È anche importante prendere in considerazione i processi da migliorare e procedere passo dopo passo”, aggiunge. “Grazie a questo lavoro di ricognizione è possibile sapere quali dati storici devono essere digitalizzati per primi”.

L’importanza di mantenere alta l’attenzione, sapere esattamente dove guardare e procedere a piccoli passi è un punto sul quale Simon Whatson, principal di Efficio - società di consulenza per il procurement -  è d’accordo.

“Non ha senso prendere decisioni relative alla digitalizzazione dei dati senza sapere che cosa farne”. Digitalizzare tutti i dati storici o non strutturati è certamente possibile ma popolare un nuovo strumento informatico richiede tanto tempo e lavoro manuale. È fondamentale trovare il giusto business case, altrimenti si rischia di perseguire un obiettivo inutile”, conclude Whatson.

Peter Wetherill, principal di Efficio, aggiunge: “Quali dati storici voglio, come mi possono aiutare e come li utilizzo? È bene avere una risposta chiara a queste domande. Cosa è possibile raccogliere e riutilizzare in futuro? I dati storici hanno valore nella misura in cui permettono di verificare il prezzo di un prodotto lungo un dato periodo di tempo e la sua fluttuazione. Inoltre, è possibile sottoporre i dati al benchmarking e consultare diversi modelli di costo unitario”.

Jill Ivancich, senior manager di DXC Technology, fornitore di servizi e processi per le aziende, ritiene che senza una solida comprensione di questi dati il processo di digitalizzazione venga rallentato. “Bisogna avere un piano per capire i dati storici a propria disposizione. Utilizzare tale piano in modo corretto è la parte più difficile”, conferma. “Non sono sicura che molte funzioni di procurement capiscano i dati di cui dispongono lungo l’intera supply chain. É quindi necessario trarne il massimo vantaggio possibile e dotarsi di un piano sui big data prima di passare alla fase di digitalizzazione”.

Jill sottolinea come l’intera azienda debba fare la propria parte per trovare la soluzione migliore. “Il responsabile informatico e il CPO devono lavorare insieme. L’approccio a compartimenti stagni non serve a niente, i dati vanno esaminati in modo olistico”, aggiunge. “C’è bisogno, inoltre, di una vera mappatura dei processi per identificare eventuali lacune e localizzare i problemi. Gli attuali processi sono i migliori possibili? Questo tipo di approccio è di gran lunga migliore rispetto alla definizione di un piano digitale che risponde alla sola domanda “che cosa posso automatizzare in questo momento?”

“Troppo spesso i dati presi in considerazione non vengono neanche filtrati o normalizzati. Non hanno ricevuto quel tocco umano e quella esperienza intellettuale necessari per un lavoro efficiente sui dati. È necessario ripulire il numero più elevato possibile di dati storici prima di passare alla piattaforma digitale”.

Pianificare il processo

Secondo Ivancich le domande che un CPO si deve porre includono: Quando è avvenuto l’acquisto e chi l’ha effettuato? Quanto abbiamo pagato e qual è la finalità dell’acquisto? Quali sono i fornitori coinvolti e dove si trovano i rischi? Dove sono i nostri livelli di servizio?

“I dati sono in costante evoluzione e movimento. Non è possibile ottenere un quadro preciso al 100% in quanto i dati sono un insieme di numeri che vive, respira e cambia,” aggiunge. “Ad esclusione della fatturazione di dati storici e attuali, si tratta di un processo prettamente manuale. È qui che si trovano i dati più precisi e utili, ed è qui che la gran parte delle aziende hanno investito.

“I dati relativi ai price point e alla spesa presso i fornitori nel contesto digitale diventano dinamici, precisi e più lavorabili. Dopo essere stati puliti e normalizzati, è possibile attivare il processo di analisi”.

Una delle principali problematiche identificate da Ivancich è assicurare che i CPO non digitalizzino e estraggano i dati dal “processo sbagliato”. Devono, invece, passare attentamente in rassegna le informazioni e i processi che intendono digitalizzare e assicurarsi della loro validità, accuratezza e funzionalità.

E aggiunge: “È inutile perdere tempo a digitalizzare le cose sbagliate. Prima di tutto è bene selezionare i processi giusti prima di passare al piano digitale. Sarebbe un errore prendere un processo fallace o composto da troppi passaggi e cercare di automatizzarlo. Gli stessi problemi, infatti, si ripresenterebbero una volta effettuata la transizione verso una piattaforma o uno strumento digitale”.

Ivancich sottolinea come i CPO possano beneficiare dalla digitalizzazione di dati e processi. “I risultati includono maggiori efficienze operative, notevoli risparmi e dati più precisi. Tuttavia, come per ogni altra cosa, è necessario prepararsi, fare ordine e capire in che direzione andare. È necessario avere già in mente un risultato”.

 

Questo articolo è stato pubblicato in origine nella rivista Procurement Leaders.